Intraprende gli studi artistici in Italia, più precisamente nella città di Venezia, frequentando dapprima l’Accademia di Belle Arti e, in seguito, lo IUAV.
È difficile collocare la sua arte in una categoria specifica, il suo vasto operato tocca molteplici modalità espressive: pittura, scultura, installazioni e video art. Lui stesso infatti afferma: «è l’idea a scegliere il modo con cui mostrarsi»; evitando così porre limiti alla propria creatività, lasciandola fluire, libera di concretizzarsi con forme ogni qual volta diverse.
Un esempio della sua poetica è la serie di fotografie dal “Single Image Processing” esposte, a inizio anno, alla galleria milanese Ciocca Arte Contemporanea nella mostra “Saved by the bell”, frase che allude a un’antica pratica mortuaria diffusa in Inghilterra secoli addietro e secondo cui la bara doveva venir dotata internamente di una campanella, prima d’esser seppellita, in modo da poter essere suonata qualora la morte della persona fosse stata solo apparente. Il titolo, seppur ironico, ben raffigura l’operato dell’artista, che va a compiere un’operazione analoga. Le fotografie non sono state realizzate da Koike stesso, ma sono istantanee d’epoca, scatti dimenticati e scartati di gente comune. Vecchi ricordi affettivi appartenuti a chissà chi; reperti di una storia individuale che affiora attraverso scene di vita quotidiana. L’artista, più che far rivivere, concede una nuova vita alle immagini, conferendo ai personaggi che le ospitano una seconda possibilità di vissuto in relazione al nuovo scenario circostante; creando nell’istantanea un elemento di dinamicità, come se si trattasse di un’azione lasciata interrotta in un tempo a noi lontano. Koike manipola queste “reliquie” creando una sorta di collage; ne ritaglia minuziosamente piccoli frammenti per poi ricollocarli nella medesima immagine, mutandone profondamente l’aspetto e conferendole una dimensione sconosciuta e surreale. Sperimenta qualsiasi tecnica di modifica della fotografia, senza mai introdurre però elementi esterni ad essa, in modo da cambiare la realtà rappresentata e creando elementi di squilibrio nell’immagine, lasciandola comunque a se stante.
Il fatto di non introdurre altre immagini nei suoi lavori è sì un limite, ma allo stesso tempo gli permette di studiare soluzioni su dettagli che altrimenti non avrebbe mai notato. Le tecniche di modifica, attraverso una delicatezza di gesti quasi impercettibili, che Koike applica sono svariate: da ogni possibile piegatura della fotografia alle bruciature, dal grattar via parte dell’immagine al ritagliarla, in un perdersi di possibilità illimitate e ancora in fase di sperimentazione.
Consciamente o inconsciamente nell’arte di Koike sono presenti molteplici rimandi a varie tecniche dell’arte giapponese. Il concetto di assegnare un nuovo utilizzo e una nuova vita a un oggetto ormai caduto nell’oblio sembra rifarsi alla pratica giapponese del Kintsugi, una tecnica in cui l’oro veniva utilizzato per saldare insieme frammenti di un oggetto ormai rotto o rovinato, aumentandone così il valore e conferendogli un nuovo utilizzo. Koike sembra riprendere anche le stampe giapponesi Ukiyo-e e Sumi-e. Le prime per quanto riguarda le scene domestiche e di vita quotidiana rappresentate, per la bidimensionalità delle immagini, in questo caso data dalla fotografia, e per le linee semplici con cui le incide, attraverso cui suggerisce un’idea di movimento. Le stampe Sumi-e, invece presentano uno stile pittorico monocromatico che utilizza solo inchiostro nero: le linee tracciate con questo inchiostro non possono più venir cancellate o modificate. Allo stesso modo opera Koike nelle sue immagini in bianco e nero: senza alcuna possibilità di correzione, sbagliare anche solo di un singolo millimetro comporterebbe la perdita dell’opera. La sua è una tecnica che richiede pratica e concentrazione, una mano ferma e un grande talento.
Testo di Daniela Lumastro
RedMilk November 30 2016